Pietro Novelli

Pietro Novelli (Monreale 1603 – Palermo 1647)

Martirio di San Bartolomeo

olio su tela cm. 117 x 92

Giovan Pietro Novelli nacque a Monreale il 2 marzo 1603, figlio di un pittore, Pietro Antonio Novello che trasmise al figlio la cultura della correttezza ed il rigore nel lavoro e nel’ arte, e null’altro poté insegnargli essendo il figlio, nella pittura, da subito molto superiore.

Pertanto la sua formazione con il padre fu solo a livello di rigorosa e impostazione del lavoro, ben presto si trasferì a Palermo presso il pittore Vito Carrera e nello stesso tempo si dedicò alla prospettiva e all’ architettura con il nobile Carlo Maria Ventimiglia che lo indirizzò anche nella più raffinata cultura dell’ epoca fino ai venti anni.

Naturalmente il giovane artista fu attratto e incuriosito da ogni fenomeno artistico che poteva incontrare in quegli anni in Sicilia, e nel’ isola anche Caravaggio aveva lasciato ampie prove della sua arte sia nel primo che nel secondo passaggio, inoltre nei primi venti anni del secolo i lavori di abbellimento di Palermo non furono pochi, anzi si può dire che essi segnarono in modo decisivo l’aspetto della città, basta ricordare la strada di Maqueda, il palazzo Reale, la Piazza del Sole, San Giuseppe dei Teatini.

Fu un periodo di imponenti cerimonie religiose e di grande fasto pagano.

Tutto questo non era esente da eventi altamente drammatici : pubbliche esecuzioni, processi per eresia e stregoneria ed infine la peste del 1624 che segnò il fermo di un lungo momento di grande fervore artistico e culturale.

L’incontro che fu determinante per la prima formazione del Novelli fu quello con l’arte di van Dyck,

venuto a Palermo per eseguire il ritratto del viceré Emanuele Filiberto ed altri dipinti con l’immagine di Santa Rosalia e la grande pala della madonna del Rosario completata a Genova a causa della precipitosa partenza del pittore fiammingo timoroso del’ epidemia di peste.

Nei pochi mesi in cui il pittore fiammingo rimase in Sicilia, tra la primavera e l’autunno del 624 il nostro assimilò la sua lezione con una rapidità e una comprensione che solo un artista già maturo e intelligente può attuare.

La lezione vandyckiana si concretizzò nella raffinatezza della tessitura cromatica, nell’uso esteso dei lumi nell’abbozzo iniziale, nel veloce nel macchiare ed annullare l’invadenza del bianco della tela vergine.

Da allora queste saranno le cifre più caratteristiche della pittura di N. anche quando si accentueranno in maniera evidente le influenze dell’ambiente napoletano degli anni trenta.

Da l 1624 inizia dunque il periodo creativo dell’ artista, che durerà fino alla prematura fine.

E interessante notare come la sostanziale omogeneità del’ opera, nonché la scarsità di dipinti datati rende particolarmente difficoltosa la periodizzazione degli stessi, un passaggio importante che aiuta però a stabilire una evoluzione ed introdurre un concetto di prima e dopo è il viaggio a Roma e Napoli .

Il viaggio non documentato, ma sostanzialmente provato dall’evoluzione stessa della pittura del n. Avvenne quasi certamente agli inizi degli anni trenta e permise all’artista di conoscere e confrontarsi con i maggiori pittori dell’epoca.

Nel soggiorno a Napoli, che fu il più lungo, egli conobbe sostanzialmente tutti gli artisti che formarono il grande fenomeno della pittura del seicento in quella capitale, la sua attenzione si fermò sopratutto su Massimo Stanzione, Jusepe de Ribera e Andrea Vaccaro, a questi artisti oltre a recepirne forti suggestioni sul realismo egli trasmise una prima via per la comprensione e assimilazione della pittura di van Dyck .

Al suo ritorno in Sicilia l’artista entra nel suo periodo più fecondo, quando, dal 35 al 40 , si sente nei suoi dipinti, unito all’idealismo vandyckiano una forte vena di realismo riberesco unita ad una crescente sobrietà dei mezzi espressivi che sarebbe forse andata accentuandosi divenendo un suo tratto significativo, come spesso avviene nel percorso di molti artisti, se la sua vita non fosse stata tragicamente interrotta durante i moti di Palermo nell’agosto del 1647.

Questo dipinto : Il martirio di san Bartolomeo è databile proprio negli anni immediatamente successivi al 35, molto forte è la corrente riberesca, la composizione è studiata fino al dettaglio, nel punto d’incontro delle diagonali della tela c’è l’ombelico del santo il cui corpo e la gamba destra vanno ad insistere su una diagonale, il motivo delle diagonali viene ripreso nella parte alta mettendo le due braccia del carnefice in asse intersecante con il braccio ed avambraccio destro del santo, l’altro braccio è diretto invece verso il basso e termina con la mano aperta.

Questa mano è il primo di cinque elementi che vanno a formare un semicerchio a chiusura del’ opera, questo tipo di chiusura a semicerchio non è rara nelle composizioni di Novelli ma in questo caso è di una evidenza che induce alla riflessione, non poche sono le considerazioni che si possono azzardare sulla successione degli elementi.

Sul piede in marmo, elemento centrale, quasi a indicazione scende dritta una parte del perizoma del santo.

Il soggetto del dipinto verrà nuovamente affrontato negli anni 40, nel dipinto del Museo civico di Reggio Calabria (1), l’impianto anche in questo dipinto è nettamente riberesco, lì il santo è visto di fianco e vari personaggi si affollano intorno al martire, in alto c’è anche un angioletto che scende con il dono della palma del martirio.

Questo dipinto è invece più essenziale, risente maggiormente del viaggio fatto da poco, i personaggi sono solo tre , uno sulla sinistra, un poco arretrato lo si nota appena e sembra essere li come testimone silenzioso che fa da tramite tra lo spettatore e il dramma che sta per svolgersi nella tela.

Il martire , della cui testa si conserva uno studio a Palermo nella Galleria Regionale della Sicilia (2), guarda con rassegnazione verso l’alto ma i piedi così irrequieti parlano del terrore del supplizio che lo attende, la posizione in generale rammenta il corpo di Oloferne nel dipinto di Capodimonte (3), dipinto che ben documenta la dipendenza dalla pittura maturata a Napoli.

Il terzo personaggio è il carnefice, molto vicino ai personaggi del Ribera, emerge dall’oscurità solo nella parte superiore dando maggiore impatto alla sua presenza ma lasciando allo stesso tempo tutta la “scena” al martire.

Lo stesso accorgimento viene usato in altri dipinti di quel periodo come il già citato Giuditta e Oloferne e nel martirio di San Lorenzo (4), più tardo di qualche anno.

  1. Martirio di S. Bartolomeo (1640-43) olio su tela cm. 195 x 136 Reggio Calabria Museo Civico
  2. Testa di vecchio (1635 ca.) olio su tela, cm. 55,5 x 44,5 Palermo Galleria Regionale della Sicilia. Erroneamente identificata come testa del profeta Mosè per l’identità del modello del Mosè anch’esso nello stesso Museo
  3. Giuditta e Oloferne Olio su tela cm. 240 x 163 Napoli Palazzo Reale
  4. Martirio di San Lorenzo olio su tela cm 174 x 145,5 Palermo Galleria Regionale della Sicilia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *